martedì 26 marzo 2013

Escursione

La puzza era insopportabile, con le mani cercava di proteggere naso e bocca, ma i conati le squassavano il petto e non riusciva a porvi fine.
L’odore dello sterco si mischiava al sudore acre e stantio degli abiti e all’alito pesante che le arrivavano addosso dal conducente del calesse. Finalmente riuscì a deglutire con l’aiuto di una provvidenziale mentina e chiamò l’amica che, incurante del caldo, delle mosche e della puzza, continuava a dormire beatamente appoggiata allo schienale.

La scosse ripetutamente con entrambe le mani e finalmente ottenne uno sbadiglio e un: “Che c’è?” “Rossella, siamo arrivate, scendi, ho la nausea e vorrei vomitare e tu dormi, gli altri sono tutti sui dromedari e aspettano solo noi”.

Si guardò intorno e restò senza fiato: alle spalle solo il verde delle palme interrotto dalla strada da cui erano arrivate, davanti a loro, a perdita d’occhio, dune e dune di sabbia e sopra di loro il cielo azzurro e sereno senza nubi.

La guida spuntò i loro nomi dall’elenco e le invitò a salire sugli ultimi due dromedari rimasti. La carovana si allungava lentamente e lei, che era in ultima posizione, pensava alle parole dell’amica: “Vedrai come ci divertiremo, sarà una bella avventura, non piangerti sempre addosso, la vita continua, vieni con me nel deserto”. Così l’aveva convinta Rossella; certo il fine dell’amica era stato benevolo e generoso, cercava di distoglierla dal pensiero dell’amore tradito, ma i mezzi non erano stati altrettanto graditi. La coperta posta sulla groppa si era spostata e la faceva scivolare all’indietro e qualcosa le pungeva la gamba. Inoltre il movimento sussultorio dell’animale la faceva sobbalzare aumentando la nausea, aveva lo stomaco in subbuglio. Sembrava di stare sopra un mare agitato da onde fatte di sabbia su cui il sole, proiettava ombre sempre più lunghe.

La guida la aiutò a sistemarsi meglio e finalmente dopo due ore di scossoni arrivarono alle tende predisposte nel deserto per trascorrere la notte e si accorse di avere una specie di spillone infilzato nella gamba che si scoprì essere un pelo di dromedario. Fu medicata e si sistemò nella tenda.

Subentrò il crepuscolo, allora contemplò il cielo e nel buio totale osservò stupita lo spicchio di luna che illuminava le tende e sopra e intorno a lei sino al limite dell’orizzonte il suo sguardo incontrava solo stelle, luminose come non le aveva mai viste. Scomparvero la stanchezza, l’irritazione per la sabbia che si era insinuata sotto gli abiti, la puzza portata via dal fresco della notte. C’era solo lei e il cielo. Si sentì improvvisamente serena, pacificata, chiamo l’amica vicino a sé e le comunicò sorridendo: ” Sai che ti dico? Avevi ragione e stavolta sono io Rossella: domani è un altro giorno”.

2 commenti:

  1. Ciao Miriam,
    qualcosa su questo racconto te l'ho già detta, ma rileggendolo ho trovato due cose un po' così:
    la prima è il calesse, mi fa specie vedere queste due arrivare in calesse nel deserto, la seconda è la durata del viaggio sui dromedari... due ore? se hai messo appositamente le due stranezze vale la pena ricamaci un po' su aggiungendo ironia al racconto.

    Che rompi che sono :-)




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    1. Se arrivi da Gabes, arrivi in calesse. La passeggiata è proprio di due ore, parti da Douz dove ci sono palme, acqua, etc,etc ed è alle porte del deserto e poi ti ci inoltri.

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