Sembravano
giovani e inesperte: non sedevano rilassate, ma tutte e due sulla parte
anteriore della panchina, pronte ad alzarsi al minimo richiamo dei figli.
Quella a sinistra lasciò il libro che non aveva nemmeno tentato di leggere e si
voltò verso l’altra con un sorriso: “ E’
suo figlio quello con la maglietta verde? Il mio è quello con la salopette
azzurra, si chiama Andrea ed io sono Giovanna” concluse tendendole la mano.
L’altra, a malincuore, abbandonò la manica del pullover e rispose: ”Sì, è Leonardo e io sono Cristina”.
I due
bambini, sui tre anni circa, continuarono a catturare l’attenzione delle due
madri: mentre uno giocava con formine e secchiello, l’altro riempiva con la
sabbia dei vasetti di vetro e di plastica riciclati. Innaffiava la superficie e
poi voltava i vasetti in sequenza per creare una specie di muro fortificato che
rinforzava con nuova sabbia tra un tronco di cono e l’altro.
Leonardo
guardò affascinato il lavoro di Andrea e accantonò le sue formine per prendere
un vasetto di Andrea e riempirlo a sua volta imitando l’altro, Andrea si
arrabbiò e gli strappò il vasetto dalle mani gridando che era suo; Leonardo
s’intestardì e ne prese un altro. Le madri scattarono all’unisono e
intervennero per bloccare il litigio sul nascere. “Andrea, per favore, dai uno dei tuoi vasetti a Leonardo, ne hai così
tanti, potete giocare assieme” disse Giovanna. “Leonardo restituisci il vasetto, guarda quante formine hai, adesso fate
la pace e iniziate un altro gioco” confermò Cristina.
Sembrò
tutto inutile, gli sguardi erano lividi e i volti dei bambini erano
irriconoscibili per la rabbia. Andrea aveva un inizio di broncio con la
lacrimuccia che si affacciava all’angolo dell’occhio per la sottrazione del suo
vasetto, Leonardo che se ne voleva impossessare, aveva le guance rosse, le
labbra strette e gli occhi ridotti a una fessura per la rabbia.
Cristina
guardò il figlio e pensò: com’è evidente
sul suo volto quel sentimento d’invidia che da grandi è mascherato perché ce ne
vergogniamo e teniamo nascosto e non lasciamo mai trasparire perché daremmo a
vedere la nostra impotenza o inferiorità e la sofferenza che ce ne viene.
Rimase
per qualche secondo immobile, persa nei propri pensieri. Giovanna invece, più
pratica e con i piedi per terra, intervenne con i due bambini: ”Su, andiamo sull’altalena e poi metteremo a
posto tutte le formine e insieme faremo un bel castello: useremo il secchiello
per fare i torrioni e i vasetti per le mura”. I bambini corsero verso
l’altalena dimentichi del litigio di poco prima, avevano voglia solo di
giocare.
Cristina
si riscosse e li raggiunse alle altalene. Forse era nata una nuova amicizia tra
i due bambini, loro per fortuna non trattenevano risentimento e rancore e
l’invidia, quella dei grandi, ancora non era sedimentata nel loro animo.
L’immagine
dei loro volti però non la lasciava.
Troppi
sentimenti contrastanti si affollavano nella sua mente in quel momento: pensava
all’intervento efficace e risolutivo dell’altra madre e a quanto si sentisse inadeguata in tante situazioni che richiedevano prontezza e decisione, al suo perdersi spesso
in fantasticherie inutili e ai suoi dubbi, alle sue insicurezze. La guardava
mentre energica spingeva a turno le due altalene e una smorfia le attraversò il
viso “Alt, fermi tutti, non ci casco, Giovanna è efficiente, ma io ho altre
qualità altrettanto valide e quindi, non sono invidiosa, la apprezzo e basta” e la smorfia si
trasformo in sorriso.
Questa è un'immagine che c'è nei ricordi delle mamme che hanno portato i loro figli ai giardinetti; quindi di tutte le mamme.
RispondiEliminaE tutte le mamme si sentono inadeguate.
E l'erba del vicino è sempre più verde.
E Tutto fila.
Mi è piaciuto il sottile profilo psicologico che ci hai fatto intravedere:la mamma prende coscienza della propria inadeguatezza, ma non lo dà a vedere... e subito pensa alle proprie qualità migliori!
RispondiEliminaVai, Miriam, è così che si fa! (Siamo o non siamo DONNE?)