martedì 23 aprile 2013

Il tempo

“Il tempo aggiusta tutto.”
Non le avevo creduto, non credevo mai a quello che diceva mia madre, così come non credevo mai a nessuno che avesse superato i trent’anni.
Mi aveva sentita parlare al telefono con Cristina e aveva capito tutto.  
Senza guardarla e senza aprire bocca per paura di scoppiare a piangere davanti a lei ero corsa in camera mia, avevo chiuso la porta con rabbia e, solo dopo aver acceso lo stereo girando al massimo la manopola del volume, mi ero buttata sul letto.  
Alla voce di Vasco Rossi, si era aggiunto, come un nuovo strumento musicale, il suono dei miei singhiozzi. Come avrei fatto senza di lui? Vivevo già i suoi baci, la sua voce e le sue risate come una perdita, ma quello che faceva più male erano i ricordi che freschi e vividi nella memoria colpivano violenti come schiaffi. Mi sarei suicidata, ecco quello che avrei  fatto, e Mauro avrebbe vissuto tutta la vita col rimorso. Mi ero addormentata sul cuscino bagnato di lacrime, ma con un sorriso cinico sulle labbra immaginandolo, inginocchiato e disperato, sulla mia tomba.
Quando mi ero svegliata, dalle fessure delle imposte non filtrava nessuna luce, Vasco aveva smesso, da un pezzo, di cantare e, dalla cucina, arrivavano i suoni e i profumi della cena.
Tanto aderenti da sembrare quasi una seconda pelle e così stretti alle caviglie da doverli rivoltare come fosse la federa di un cuscino, mi ero tolta i Wrangler sbiaditi per infilarmi i pantaloni della tuta. Per un po’, sulla mia pelle sarebbero rimasti un cerchietto rosso accanto all’ombelico a indicare il punto esatto in cui prima poggiava il bottone e, come un tatuaggio, sui fianchi e all’esterno delle cosce il segno delle cuciture dei jeans.
Nello specchio del bagno avevo visto il mio viso sporco di rimmel e la faccia stropicciata di Minnie, stampata sulla maglietta. Con del cotone impregnato di struccante mi ero tolta il rimmel, a Minnie, invece, erano rimaste tutte le sue rughe, vecchia fino al prossimo appuntamento con il ferro da stiro.
Erano già tutti a tavola; Mio fratello tentava, come al solito, di giustificare un brutto voto e mio padre gli propinava la solita ramanzina, la mamma, davanti ai fornelli, mantecava il risotto con burro e il formaggio e ascoltava la discussione senza intervenire.   
Mi ero seduta al mio solito posto e nessuno aveva avuto il coraggio di chiedermi niente perché tanto, era ovvio, che sapevano già tutto. Avevo apprezzato il loro silenzio e trovare a tavola il mio piatto preferito valeva più di mille parole, ogni chicco giallo zafferano aiutava a riempire gli spazi dello stomaco e i vuoti dell’anima facendomi dimenticare i pensieri di morte di poche ora prima.

“Ciao Mamma” Urla Viola per sovrastare il suono di una canzone che sente solo lei perché gli auricolari imprigionano tutte le note nei suoi timpani.
“Ciao Viola” le dico affacciandomi dalla porta della cucina, la mia voce non le arriva, ma legge il saluto sulle mie labbra.     
Getta lo zaino a terra, si abbandona sul divano e le sue dita iniziano una danza frenetica sulla tastiera del telefonino, faccio appena in tempo a vedere, un po' nascosto dal ciuffo di capelli che le svolazza sulla fronte, il suo sguardo cattivo e rabbioso, fatto di quella cattiveria e di quella rabbia che sopraggiungono per ingannare un dolore più grande: la sofferenza di un cuore spezzato.
E’ passato il tempo e i tempi sono cambiati.
I miei segreti di ragazza arrivavano a mia madre da parole sussurrate al telefono che si infilavano sotto le porte e oltrepassavano le pareti, parole scritte in diari malamente nascosti, parole che si facevano trovare. I segreti di Viola sono silenziosi, le sue parole sono mute e scritte solo sul suo cellulare.
Se non fosse per  sua sorella non saprei nulla, ma, oggi, rientrando da scuola un’ora prima, mi ha raccontato tutto: Viola e Simone si sono lasciati questa mattina.

Quando Viola si alza dal divano per venire a tavola, nell’abbassare la maglietta, copre la piccola sfera d’argento incastonata nell’ombelico e la scollatura, allargandosi, svela l’ala di una farfalla che vola immobile sulla sua spalla.

Non le dico che il tempo aggiusta tutto perché non mi crederebbe; non le dico che resteranno delle cicatrici per ricordare; non le dico nemmeno che la maggior parte di quei ricordi la faranno sorridere e che altri la faranno sempre soffrire; non le dico niente.
Non è tempo di parole oggi, oggi, a parlare saranno le crepes alla nutella e il loro profumo.

2 commenti:

  1. Mi sono ritrovata nei pensieri dell'adolescente disperata. Il racconto funziona anche per il contrasto adolescente di ieri e di oggi dato proprio dal tempo trascorso. Funziona anche il conforto alimentare e silenzioso delle due madri.

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  2. Bellissimo! Soprattutto il passaggio tra le due vicende e i particolari usati per evidenziare il confronto tra le epoche (l'ombelico), mi è piaciuto molto anche lo stile, brava Anna!

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