lunedì 13 maggio 2013

Un Angelo guarda

Il freddo dell’inverno gela le sue ali e le sue piume sembrano fiocchi tra i fiocchi.                        
Vede il piccolo cimitero in cui riposa, le lapidi sono nascoste sotto una spessa coltre bianca, tutte tranne una. Guarda sua madre inginocchiata davanti alla sua tomba. Sfiora la foto protetta dal vetro,  spera che al giovane viso della figlia arrivi il calore di quella carezza e libera il marmo grigio per non permettere più alla neve di seppellirla.


Il Mont Fallére è brutto  a vederlo da lontano, ma a quelli che si avventurano tra i suoi sentieri, che si mescolano ai suoi colori e che si specchiano nei suoi laghi regala sensazioni fantastiche. D’estate, a quota 3.061, Sara, c’era già arrivata.  Ad aspettarla:  un panorama che, a 360°, era bello da mozzare il fiato.                                                                                                                                                         Il 12 gennaio del 2003 era domenica, c’era il sole, ma la temperatura era di qualche grado sotto lo zero.  È un’escursione pericolosa, se fatta d’inverno,  ma le tre guide alpine sono tranquille e alle 9,00 del mattino, con altri dodici escursionisti esperti, Sara comincia la salita. Ore di fatica, con gli sci ai piedi e il sudore ghiacciato sulla fronte. Sono le 13,10  ed è a quota 2.600 metri quando, guardando in alto vede le guide già arrivate a destinazione. Alza una racchetta, la punta verso il cielo in segno di saluto e sorride a chi e troppo lontano per vedere l’espressione del suo volto. Si sono divisi in tre piccoli gruppi, lei è in coda con Alessandro, Ivonne e David. Saranno gli ultimi ad arrivare, ma questa è una gara che ognuno ha con sé stesso e il premio lo vincono  tutti.                                          È proprio in mezzo al canalone quando sente un rumore arrivare dall’alto, è un suono breve, sembra un motore che viene acceso e subito spento. Si guarda intorno, il silenzio è totale adesso e il tempo sembra essersi fermato.  Quasi le dispiace riprendere ad avanzare spezzando l’incantesimo.             Ma è quel rumore, quello simile a un motore che riparte e la slavina comincia la sua corsa. Sopra di lei, a quota 3.000, un fronte di un centinaio di metri si è staccato, quando raggiunge i quattro alpinisti,  la valanga si è ingrossata: la sua larghezza è di trecento metri adesso.                              Sara non ha scampo!                                                                                                                          Nella sua mente una consapevolezza e nei suoi occhi solo un colore: il bianco. Sommersa dalla neve rotola, urta violentemente sulle rocce che incontra sul percorso e non si ferma se non cinquecento metri più a valle, su un pianoro nei pressi del lago. Arrivano i soccorsi, le guide hanno assistito alla tragedia e hanno dato l’allarme.                                                                                                   Scendono gli elicotteri, sguinzagliano i cani. Ci mettono poco a trovarli, ma alle volte non è il tempo che fa la differenza. Questa, purtroppo, è una di quelle volte.                                                       Quattro corpi senza vita salgono a bordo degli elicotteri. Quattro nuovi angeli volano in cielo.   

Sara si bagna le ali sotto la pioggia tiepida di primavera.  Vede sciogliersi il ghiaccio dei ruscelli, le cascate riprendere vita e i prati ricoprirsi d’erba e trasformarsi in pascoli. Guarda suo padre che, nel cortile di casa, siede con un amico sulla panchina di pietra.  Di fronte a loro il profilo dei massicci fa da sfondo, ma la grandezza delle montagne riflessa nei loro occhi  non riesce a celare tristezza e dolore.                                                                                                                                                “Non è stato il destino!” Sentenzia il padre con rabbia. “Ci sono testimonianze che dicono che il gruppo voleva fermarsi, ma le guide hanno insistito per proseguire. Sono passate per prime e… hanno fatto come da rasoio sulla neve provocando la valanga.” È un monologo quello dell’uomo.            Non esiste rassegnazione per la perdita di un figlio,  trovare un colpevole senza abbandonarsi alla semplicità del fato è una necessità. Lo capisce l’amico e ascolta in silenzio.

Sara si scalda le ali sotto il sole d’estate. Vede gli stambecchi sulla cresta;  aspettano la sera per andare ad abbeverarsi sulle sponde del lago Fallére. Gli animali sanno che il gruppo di escursionisti in marcia, per allora, sarà già tornato sui suoi passi.                                                                           Una guida alpina li precede. Lei la riconosce e la vede abbassare gli occhi quando si ritrova vicina al luogo dell’incidente. Guarda nella sua mente. Sollievo e rimorso combattono come pugili in uno stadio senza pubblico. Quel giorno il bollettino valanghe, su una scala da uno a cinque, segnalava rischio tre. Forse non sarebbero dovuti partire, ma le condizioni della neve sembravano buone.     Forse è stato superficiale, ma conosce bene quelle montagne. Un’ infinita sequenza di forse e di ma, cicatrici sul cuore.  

Sbatte le ali nel folto del bosco e un tappeto di foglie autunnali si posa a nascondere la terra umida. Vede gli scoiattoli fare le ultime corse fra i rami spogli e il bestiame abbandonare le valli per tornare nel calore delle stalle.                                                                                                                              Si addormenta sotto stelle così luminose da disturbare il buio della notte.                                            Si sveglia alla luce del sole che all’alba tinge d’oro le cime più alte e che al tramonto le abbraccia rendendo il paesaggio magicamente rosa e... guarda.           

2 commenti:

  1. Sei riuscita a far convivere senza discrasie le descrizioni tecnico-alpine con le descrizioni veramente evocative dei posti che, anche se non conosco,mi appaiono come fotografati sulla pagina. Inoltre l'aspetto fantastico è poetico senza essere sdolcinato o troppo sentimentale. Il tutto espresso con leggerezza e senza lungaggini. Brava!

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  2. Bellissimo e commovente, mi era piaciuto la prima volta che l'avevi letto e lo rileggo con piacere oggi. E' un genere proprio nelle tue corde, continua così!

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