venerdì 17 maggio 2013

Italia, 23 maggio 1992

Una cappa di afa pesante e vischiosa grava sulla città. Le carcasse delle auto bruciano nella voragine incisa nell’asfalto, le cariche sono state fatte esplodere da un telecomando poco distante dall’autostrada.            
L’inferno buca lo schermo del televisore gettandomi addosso folate roventi.

L’Italia si ferma, bloccata in una morsa di incredulità, sconforto, paura.

Poi, il susseguirsi di cronache, interviste, messaggi di cordoglio, mentre eravamo all’improvviso diventati orfani, come il giudice, che negli ultimi tempi era stato allontanato dal luogo in cui operava, abbandonato da chi avrebbe dovuto sostenerlo e tradito da sedicenti amici.

Per la prima volta però la rabbia scuote le coscienze risvegliandole dall’omertà: le lenzuola, che in tempi non tanto remoti le giovani spose appendevano ai balconi per testimoniare la loro purezza, nei giorni seguenti compaiono numerose alle finestre per esprimere solidarietà al giudice ucciso e determinazione a non tornare più indietro.

Sul punto dell’esplosione è stata eretta una stele che riporta i nomi delle vittime. L’autista del bus mi indica una casupola quadrata, bianca, sui muri la scritta No mafia. “Il comando è partito da lì”, spiega rallentando, come a onorare la memoria dei caduti.

Un brivido mi scuote, rivedo le immagini passate centinaia di volte al cinema e in televisione in questi vent’anni di legalità latitante.

Anche oggi, 23 maggio 2012, mentre una processione infinita di studenti e gruppi di numerose associazioni attraversa le vie centrali della città barocca diretta all’albero dedicato alla memoria del giudice, le lenzuola tappezzano ogni finestra sventolando sospinte dalla brezza che attenua la canicola pre-estiva. Per strada rimbombano gli slogan scanditi dai ragazzi venuti da ogni parte d’Italia, che non c’erano quel terribile giorno perché non ancora nati, ma che oggi sono presenti.

Il minuto di silenzio è quasi innaturale, la brezza si placa all’improvviso e l’afa precipita a terra avvolgendo la città, rivoli di sudore appiccicano gli abiti alla pelle, la calca è impressionante, mi manca l’aria.

Rivivo la sensazione soffocante di vent’anni fa quando, immobile davanti allo schermo, seguivo i funerali di stato della scorta del giudice. Davanti a migliaia di persone pigiate nella cattedrale di Palermo, una giovane vedova dal volto scavato e gli occhi sconvolti offrì agli autori della strage il suo perdono cristiano in cambio del loro pentimento.

La sua preghiera è stata vana, gli uomini della mafia non hanno avuto il coraggio di cambiare e lei aspetta da vent’anni di poterli perdonare.




2 commenti:

  1. Me lo ricordo questo racconto :-)
    Mi piace ma l'impostazione da articolo é ancora troppo prevalente. Con ancora un pó di lavoro diventerebbe un bel racconto. Buon lavoro :-)

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  2. Ci vuole coraggio a fare un racconto di questo fatto di cronaca che ricordiamo tutti anche sulla pelle. E tu l'hai avuto. Brava. Anche per me dovresti allargare di più il racconto sui sentimenti e i pensieri della protagonista, dare più importanza al suo punto di vista,diventerebbe ancora più coinvolgente.

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