Quando si metteva in testa qualcosa, doveva
raggiungere il suo scopo a tutti i costi, anche se per farlo, se la ritrovava
ammaccata.
Lui credeva alla vecchia Ingrid. Era scorbutica, ma se ci sapevi fare, si scioglieva e ti raccontava gli episodi bizzarri della sua gioventù, delle sue pesche eccezionali, delle sue nuotate da un’isola all’altra e soprattutto i racconti dei suoi nonni sulle antiche leggende del posto e se diceva che l’aquila aveva preso Svanhild, l’aquila aveva preso sicuramente Svanhild.
A Leif non interessavano i pareri degli esperti sul peso che un’aquila può sopportare, sull’apertura alare, sui tempi di volo, e tutte le altre informazioni tecniche specifiche; lui le aquile le conosceva, le rispettava, le ammirava anche, ma continuavano a incutergli una sensazione d’inquietudine e di allarme.
Ne aveva vista una afferrare, con una facilità estrema, scendendo in picchiata, un agnellino piccolissimo; e quell’aquila era ancora nei paraggi.
Lui credeva alla vecchia Ingrid. Era scorbutica, ma se ci sapevi fare, si scioglieva e ti raccontava gli episodi bizzarri della sua gioventù, delle sue pesche eccezionali, delle sue nuotate da un’isola all’altra e soprattutto i racconti dei suoi nonni sulle antiche leggende del posto e se diceva che l’aquila aveva preso Svanhild, l’aquila aveva preso sicuramente Svanhild.
A Leif non interessavano i pareri degli esperti sul peso che un’aquila può sopportare, sull’apertura alare, sui tempi di volo, e tutte le altre informazioni tecniche specifiche; lui le aquile le conosceva, le rispettava, le ammirava anche, ma continuavano a incutergli una sensazione d’inquietudine e di allarme.
Ne aveva vista una afferrare, con una facilità estrema, scendendo in picchiata, un agnellino piccolissimo; e quell’aquila era ancora nei paraggi.
Guardando un documentario girato da un naturalista
famoso, aveva osservato da vicino il profilo grifagno della testa con il becco
adunco, l’occhio giallo vigile, attento, e la pupilla nerissima, dove ci si
poteva perdere… Cosa, questa, che l’aveva profondamente impressionato. Era come
se l’occhio fissasse il suo viso e lo provocasse: ”Attento, non sfidarmi!”.
Chiamò Karl e Jentoft. “Dobbiamo cercare prima nei dintorni di Roevik e poi facciamo dei cerchi
sempre più larghi, proprio come fossimo aquile anche noi!”.
Iniziarono le ricerche: furono distribuite le foto
di Svanhild, anche se la conoscevano tutti, e furono descritti gli abiti
bianchi con un soprabito a quadri che indossava prima della sparizione. I
volontari si presentarono a decine e fra questi i tre amici.
Nella notte bianca di giugno trovarono una scarpa della bambina vicino alla montagna di Leka a diversi chilometri da dove era stata vista l’ultima volta. Gli altri pensarono a un maniaco o a una caduta in mare dopo aver battuto la testa tra i ghiaioni e le rocce rossastre. Leif invece spronava gli amici a scalare la montagna di Leka, dove sapeva esserci il nido dell’aquila.
Dovevano fare in fretta perché l’aquila attacca subito gli occhi e quindi la bambina era in estremo pericolo. Quasi alla sommità trovarono una sporgenza della
roccia a una certa distanza al di sotto del nido e videro qualcosa
biancheggiare. Era Svanhild con i vestiti strappati, era di spalle, Leif la
voltò lentamente e la scoprì addormentata e illesa. Lei urlò quando, al
risveglio, vide un viso sconosciuto, ma Leif la confortò con la sua voce
profonda e i suoi modi rassicuranti e protettivi e la riportò tra le rocce sul
mare.
Nella notte bianca di giugno trovarono una scarpa della bambina vicino alla montagna di Leka a diversi chilometri da dove era stata vista l’ultima volta. Gli altri pensarono a un maniaco o a una caduta in mare dopo aver battuto la testa tra i ghiaioni e le rocce rossastre. Leif invece spronava gli amici a scalare la montagna di Leka, dove sapeva esserci il nido dell’aquila.
Dovevano fare in fretta perché l’aquila attacca subito gli occhi e quindi la bambina era in estremo pericolo.
Leif era rimasto tranquillo perché era a conoscenza
del fatto che Svanhild era abituata a prendere a sassate i gabbiani per
impedire loro di assalire i piccoli edredoni e, a tre anni, l’aquila sembra un
gabbiano più grande, quindi si tirano i sassi. Svanhild confermò in seguito che
aveva lanciato sassi e sassolini raccolti sulla sporgenza al grosso gabbiano
per proteggere le sue anatrelle marine.
Le loro isole erano vicine e si sono incontrati più
volte nel tempo. A Leif piaceva quella ragazza dagli occhi azzurri, sorridente
e minuta. Ogni volta si guardavano, si abbracciavano senza bisogno di parlare e
si salutavano.
Leif non ha più visto l’aquila, ma l’ha sognata
spesso, mentre vola con la sua coda bianca e le ali spalancate, oppure ferma
sul monte Leka, di profilo con le ali chiuse e l’occhio che sembra lo sorvegli
ancora.
Non conosco il fatto ma ho trovato molto gradevole e scorrevole il racconto.
RispondiEliminaHo sempre saputo che i rapaci si alzano in volo e fanno cadere la loro preda dall'alto per ucciderla prima di cibarsene quindi mi incuriosisce sapere se il racconto sia fedele alla realtà. Approfondiremo lunedì.
Nemmeno io ho mai sentito questa storia, ma mi piace. Sarebbe stato bello che ti soffermassi un po' di piu sul ritrovamento della bambina, mi é sembrato un passaggio frettoloso. Peccato che l'aquila non sia mai entrata in scena. Ciao!!!
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