Avrebbe lasciato quella cittadina di provincia con il suo campanile che ogni quarto d’ora gli ricordava che aveva sprecato un’altra fetta di tempo nella ferramenta di famiglia sotto casa. Era stufo di non dover percorrere nemmeno un tratto di strada per andare al lavoro, avrebbe voluto saltare su un vagone della metro come si fa a New York e iniziare ogni giornata in modo diverso dalle altre, specchiarsi negli occhi degli altri passeggeri, immaginarne le vite, i problemi, gli impegni della giornata, le storie d’amore.
Il biglietto ferroviario Bologna-Amsterdam con partenza il giorno dopo alle 19:50 era appuntato sulla bacheca accanto alla porta d’ingresso, vicino alla valigia già pronta da giorni. Un amico gli aveva procurato un lavoro in un ristorante italiano e una camera in affitto. Non era mai stato ad Amsterdam, ma i racconti della vita brillante e trasgressiva che si svolgeva in quella città del nord lo avevano convinto a spiccare il volo. Avrebbe dedicato la giornata seguente a chiudere il giro dei saluti a parenti e amici, l’ultimo pranzo in famiglia e, senza voltarsi indietro, finalmente sarebbe salito sul predellino dell’IC per andare incontro alla nuova vita, al nuovo lavoro e chissà a cos’altro ancora.
Ma alle 4 del mattino,
mentre si rigira nel letto insonne, la vita cambia davvero, ogni cosa si
ribalta, la realtà si mischia al sogno, il boato è agghiacciante.
Dura pochi secondi, nei
quali Guglielmo ripercorre tutta la sua vita a ritroso, sì proprio come si dice
avvenga negli ultimi istanti di vita. Possibile che il destino gli giochi uno
scherzo così perverso?
Riesce a conquistare la
porta di casa strisciando tra i calcinacci, la valigia è lì, squarciata da un pezzo
di muro come la sua anima e la sua testa che non riesce più a pensare mentre il
cuore gli martella all’impazzata nelle orecchie.
Di colpo è il silenzio, il
nulla, la “non vita”. Tutto intorno è polvere e distruzione. Strizza forte gli
occhi nella speranza che si tratti solo di un orribile incubo, ma quando li
riapre è ancora l’inferno.
Poi la vita riprende e sono
urla, sirene, pianti e gemiti. Rotola giù per le scale e barcolla fuori dalla
palazzina, sulla strada con l’asfalto sollevato, le automobili distrutte e le
persone come lui strappate dal sonno e incredule per ciò che sta avvenendo.
Il terremoto, una scossa
fortissima, lì dove nessuno credeva di vivere a rischio sismico.
D’impulso corre verso il negozio,
al piano di sopra abitano la mamma e gli zii, quelli da cui voleva fortemente separarsi.
La vetrina è infranta, un nastro di tegole si è abbattuto sul marciapiede, le
finestre della casa sono sommerse da una coltre di polvere.
Riesce ad aprire il portone
e chiama forte i nomi dei suoi con il terrore in gola, “Mamma, Angelina, zio Cesare, dove siete? Sono io, adesso vi porto fuori
da qui, fatevi sentire che vi vengo a prendere!”
All’improvviso un altro
schianto lo raggela, si volta e il campanile non c’è più, proprio l’orologio
che scandiva la sua vita, ogni giorno uguale a quello precedente, quante volte
lo aveva maledetto, e ora?
Mentre aiuta la famiglia a
uscire di casa pensa al treno delle 19:50, alla valigia squartata, ad
Amsterdam, tutto gli sembra così estraneo e senza senso, la sua vita è qui,
almeno per ora.
A partire ci penserà un’altra
volta.
Bello! Forse usare come finale la penultima frase chiudendo con il punto interrogativo é piú d'effetto. Ciao.
RispondiEliminaMi è piaciuto come in poche frasi hai reso l'ansia di cambiare vita del protagonista stufo della sua vita provinciale,così come la descrizione del terremoto. Forse avrei aggiunto qualcosa in più sul salvataggio e sulle radici che tutto sommato anche quando vogliamo lasciare, ci trattengono.
RispondiEliminaScritto bene come sempre.