sabato 5 ottobre 2013

Cassandra

La burrasca si univa alle onde che martellavano i bordi della barca e sferzavano di minute gocce i volti e i corpi degli angosciati occupanti.
Cassandra ne era incurante, la fronte appoggiata al legno lucido non badava all’acqua, né alla salsedine sui capelli, anzi, gli spruzzi che la raggiungevano, erano un sollievo per la febbre che si sentiva addosso da giorni.

Non era la vecchia febbre che quasi tutti i suoi concittadini chiamavano follia, solo qualcuno chiamava dono, e per lei era solo una maledizione, ma come si può fermare ciò che ti viene in mente?
Almeno il suo dono, l’occhio interiore della veggenza, quando appariva, la proteggeva dal dolore della realtà.  In fondo era come essere cieca.
Aveva cercato di conviverci, aveva tentato di avvertire tutti, aveva provato a contrastare tutto l’armamentario spirituale e culturale che prevede che la parola “guerra” non sia mai pronunciata, ma si parli sempre di aggressione e che la diffamazione del nemico inizi ancor prima che questo nemico si presenti alle porte. Soprattutto, che non sia mai rivelata la verità che, invece, l’aveva sconvolta e cioè che il nemico era uguale a loro.

Non c’è limite alla ferocia che l’uomo commette contro i suoi simili.
Gli uomini sono capaci di ogni efferatezza: non il nemico, TUTTI gli uomini, ma questo non si può ascoltare e pertanto nessuno ascoltò.
È più facile odiare il nemico che odiare se stessi; e, come sempre, è più facile punire chi racconta il fatto e non chi lo compie. Fu pertanto punita, nessuno la ascoltava più.
Rinunciò allora al suo dono e la città fu distrutta, gli abitanti uccisi o torturati, in pochi riuscirono a fuggire, gli altri furono catturati come bottino di guerra. I luoghi di culto distrutti: ognuno ha i suoi Dei da pregare, quelli degli altri valgono meno che zero.
I luoghi della sua infanzia, i giardini, le piazze, le fontane, le scuole: fu cancellato tutto.

Ora, su questa barca alla deriva nella tempesta, non ricordava se fosse prigioniera dei vincitori, oppure se si trovasse insieme ai perseguitati, alle migliaia di umiliati migranti che da sempre cercano un nuovo approdo per ricominciare a sperare nella fortuna di un futuro senza fame, o guerra o oppressione, o tutte queste cose assieme.
Sentì accanto a lei il pianto di due bambine, l’ultimo anello della catena umana, appena sopra gli animali, non tutti, perché le capre al mercato, paradossalmente, valevano di più.
Un pensiero lucido improvvisamente la colpì, un lampo della vecchia virtù della precognizione: era per loro che occorreva sperare. Lei aveva fatto la scelta di diventare guardiana del culto per essere indipendente, rinunciando però all’amore. Ora, forse, nella nuova terra anche le bambine potevano aspirare a un ruolo diverso: bastava aprirsi agli altri, riconoscere quanto di buono gli altri avevano già fatto e quanto di buono portavano i nuovi arrivati e vivere in pace, non cessando mai di imparare.

Sollevò la fronte e guardò il mare, non vedeva il confine con il cielo, l’alba era ancora lontana, un lampo illuminò brevemente l’orizzonte e scorse, in fondo, la terra senza luci; ma il solo fatto di aver visto un approdo la rincuorò. Decise che non aveva più la necessità di interrogare e interrogarsi; avrebbe detto che aveva perso il dono e avrebbe ripreso il suo primo proposito: insegnare, raccontare, soprattutto alle bambine, perché a loro volta raccontassero alle loro figlie in una catena che raggiungesse le donne che un giorno, forse, sarebbero vissute più felici.

(omaggio a Christa Wolf)

 

1 commento:

  1. Ci sono passaggi che mi sono piaciuti e altri che ho letto con fatica.
    Credo manchi il giusto equilibrio tra storia e riflessione e questo rende difficile la comprensione del racconto. Si capisce che questa è una scena di qualcosa di più ampio al quale mancano degli agganci e non puoi dare per scontato che il lettore la conosca l'intera storia. Ciao!

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