venerdì 10 gennaio 2014

Il silenzio

Dopo aver bussato tre volte al portone di legno intarsiato, all’apparenza mastodontico e impenetrabile, una porticina si apre solo di una spanna e appare un viso smorto su di una figura nera.
“Scusi, ho bisogno d’aiuto, mi si è bloccata l’auto, ho un telefono, ma non ho il numero per chiamare qualcuno del paese giù a valle per farla ripartire, Può aiutarmi?”

La figura – è un uomo o una donna ? - non parla, fa un cenno con la mano che non capisco e richiude la porticina.

Busso ripetutamente, con forza, gridando “Mi apra, mi apra, ha capito cosa le ho chiesto?”. Niente, non succede niente e sono a piedi con l’auto in panne, tra i monti, in Toscana.

Chiamo Paolo? Ma lui è a Milano, cosa può fare? Inoltre me ne sono andata sbattendo la porta. Chiamo gli amici che mi stanno aspettando? Almeno quelli sono più vicini, e sentirò una voce familiare.

Mentre pigio i tasti inquieta, la porticina si apre e riappare la figura. Ecco sì, ora la vedo meglio: è una suora; mi fa cenno di entrare ed io la seguo nel vestibolo che si affaccia su un chiostro magnifico; mi fermerei a fotografarlo se non fossi in questa situazione.

La suora indica prima se stessa e poi invita al silenzio ponendo l’indice, verticalmente, sulle labbra.

Capisco, sono capitata in un convento di clausura. La ringrazio con il capo, con il sorriso, con tutto il corpo.

La guardo veleggiare… sì, perché sembra non abbia i piedi, si vede solo una sottana nera, lunga che sfiora il pavimento, il movimento è leggiadro, senza scosse.

Guardo sul lato destro e vedo un’infilata di finestroni alti che partono da terra, ma ci sono tendoni scuri che impediscono di vedere all’interno. Sento un coro in lontananza, penso siano le altre sorelle che cantano in chiesa.

Poi, in fondo al porticato, si dirige a destra e apre una porta: entriamo in un salone vuoto.

Sulla parete c’è un telefono, di quelli di bakelite nera, appeso al muro come si usava una volta, e su di una mensola subito sotto, una guida aperta sul nome del paese a valle.

M’indica con una penna la voce “Autofficina Val di Nievole” e scivola via.

Il coro s’interrompe e ora sono nel silenzio più completo, un silenzio compatto, cremoso.

Ho già frequentato luoghi silenziosi, nessuno come questo, tuttavia ... il silenzio totale forse è quello nel fondo degli abissi, ma lì ha comunque il suo suono: è il martellare assordante del sangue alle tempie, è il mantice del respiro affannato, è il pulsare di timpani.

Chiamo l’officina e faccio fatica a spiegare dove sono perché, stupidamente, non so il nome del monastero, però alla fine mi capiscono e il meccanico mi assicura che mi raggiungerà nel giro di mezzora.

Riappare – o era solo nascosta? - la suora che, sempre a cenni, mi riaccompagna all’uscita, mi sorride e mi richiude fuori.

Sono sorpresa, ma rifletto che sono un’ospite indesiderata, arrivata a rompere le loro meditazioni e i loro silenzi.

Mentre aspetto il meccanico, mi guardo intorno. Il bosco è meraviglioso e soprattutto c’è pace, interrotta solo dai soliti rumori: fruscii, qualche cinguettio, il vento che passa tra le foglie.

Occorre essere soli per stare in silenzio e ascoltarlo. Meditando senza distrazioni, un inconsueto contatto con me stessa apre nuovi significati sul sottobosco, sulle gemme e sulle fioriture dell’esistenza.

Non mi accorgo nemmeno dell’arrivo del meccanico; il quale, molto professionale e competente - mi è andata bene – risolve il problema in pochi minuti. Si era staccato un filo di non so che, questi particolari mi annoiano sempre e non ascolto quando me li spiegano. Pago volentieri e chiedo al meccanico il nome del convento giacché non c’è una targa, un cartello, niente che dia un’indicazione.

Lui mi dice che c’era la targa, ma che ormai è tanto tempo che è disabitato; le ultime suore si sono trasferite, ormai le vocazioni sono sempre meno. E quindi ricorda che sono circa trent’anni che è chiuso. 

Mi blocco dal dirgli qual è stata la mia esperienza. Non capirebbe, non ho compreso bene nemmeno io. Lo saluto e salgo in auto.

Sono inaspettatamente serena, in pace con me stessa.

Mi affido al silenzio. Non so se ho sognato, se tutto è successo solo nella mia mente. Che importa?

Prendo la mia amata penna e un foglio e scrivo.

4 commenti:

  1. Belle le immagini del silenzio evocate: il battere assordante del sangue alle tempie, il mantice del respiro affannato...non avevo mai pensato in questi termini. Soprattutto l'ambientazione (non scontata) e il finale così misterioso lascia ancora molto alla nostra immaginazione.
    Doppiamente brava, anche perché l'argomento trattato non è tra i più semplici.

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  2. Bella la storia e le note poetiche. Quel monastero, poi, non potevi che trovarlo in Toscana :-) penso peró che il racconto sarebbe piú scorrevole, se anticipassi meno le azioni eseguendole direttamente: Capisco...Guardo sul lato destro e vedo... chiamo...

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  3. Originale e di scorrevole lettura. Mi è piaciuto il senso di mistero che lasci aleggiare senza spiegare.

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  4. intrigante! Però ci sono due frasi che mi lasciano perplessa: "Mi blocco dal dirgli qual è stata la mia esperienza" stride con il resto del testo. E il finale, sei sicura che serva la racconto scrivere "Prendo la mia amata penna e un foglio e scrivo"?

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