domenica 2 febbraio 2014

L'incontro inaspettato

-Pronto Alberto? Sono Carlo.
- Carlo, sei proprio tu, che sorpresa! Non riesco a crederci quanto tempo! Ma
  come hai fatto a rintracciarmi?
-Le nuove tecnologie fanno miracoli. Ma dimmi, come stai?
-Stancamente. Procedo come possono fare quelli della nostra età, fatta.
 eccezione per te che sei sempre attivo e dinamico in giro per il mondo.
 Piuttosto da dove mi chiami?
-Sono qui di passaggio a Milano. Sono appena arrivato da Roma e stasera
 riparto per Parigi, in vagone letto. Lo so che non ti ho preavvertito, ma cosa
 diresti di incontrarci? Riusciresti a staccare dal lavoro qualche ora e
 raggiungermi al bar della stazione centrale? Ho proprio tanta voglia di
 rivederti.
-Oggi è una giornata tranquilla: ho solo un appuntamento nel tardo pomeriggio
 e posso spostarlo a domani, niente di urgente. Il tempo di salire su un taxi e
 sono lì da te, il mio ufficio non dista molto dalla stazione.

Alberto posò il ricevitore, riordinò la scrivania e si avviò verso la porta. Come d’abitudine, nell’infilarsi il cappotto si riflesse nello specchio e si aggiustò i pochi capelli bianchi che, ribelli, gli si arricciavano intorno al capo.
Scorse un bagliore nei suoi occhi: quella telefonata inaspettata lo aveva risvegliato, facendogli prendere coscienza del torpore in cui languiva, da ormai chissà quanto tempo.
Sì aveva bisogno di infondere un po’ di colore alla sua grigia monotona vita.
Anche se solo per poche ore, il rievocare i momenti felici trascorsi con Carlo, avrebbe potuto permettergli di liberare l’energia che sentiva ristagnare nel profondo del suo corpo.
Era ancora un bambino quando lo aveva conosciuto e già allora il suo sguardo lo rallegrava e lo trasportava in un mondo magico. Si erano scambiati il primo sguardo una mattina di sole, in cui aveva accompagnato la nonna dal fattore per comprare le uova e subito era nata un’amicizia.  Lui da bravo figlio unico, nato in città, era timido, impacciato, si guardava intorno spaventato e non aveva dimestichezza con gli animali di campagna, quasi non sapeva riconoscerli.  Carlo invece si muoveva svelto e sicuro tra l’aia, i pollai e le stalle per rendersi utile e mostrare ai genitori che anche lui era all’altezza dei compiti affidati ai fratelli più grandi. Così, ogni estate, Alberto non vedeva l’ora di andare dalla nonna per trascorrere le vacanze insieme a quell’amico. Quante avventure, quante scoperte, specie quando ispezionavano l’antica cascina disabitata, in cima alla collina. Speravano e temevano sempre di incontrare qualche fantasma o di scoprire un tesoro nascosto. E che divertimento giocare in riva al laghetto per trovare i sassi più belli con cui costruire le dighe o quelli più piatti da lanciare a pelo d’acqua, per fare il maggior numero di rimbalzi. La domenica, invece andavano al mare, insieme a Lori, fratello di Carlo e ai suoi amici. Erano proprio una bella compagnia di ragazzi. Che bello tuffarsi tra le onde quando il vento le faceva increspare e spumeggiare. Diventati più grandi invece facevano le gare di immersione a tempo e di profondità, per far colpo sulle ragazze. Già, le ragazze, quel mondo per lui misterioso che parlava un’altra lingua. Carlo, invece, lui sì che sapeva come conquistarle: una risata, uno sguardo, un passo di danza. Io, timido lo osservavo, invidioso, in disparte e insicuro, come ero, non provavo nemmeno a imitarlo. Purtroppo fu proprio per causa di una ragazza che quella che sembrava una inossidabile amicizia iniziò a incrinarsi. Un’estate la Rosì , la morosa di Lori, portò in compagnia una nuova amica, da poco trasferitasi da un paese vicino. Si chiamava Serena e lo era di nome e di fatto, ma soprattutto, per la mia grande gioia, era timida come me. Iniziammo a lanciarci brevi sguardi, poi a scambiare semplici convenevoli e infine a parlare apertamente di noi, dei nostri interessi, dei nostri progetti. Ero al settimo cielo, non riuscivo a credere che anch’io potessi suscitare simpatia e interesse. L’anno successivo ci rincontrammo e riprendemmo il dialogo interrotto. Tutto procedette bene, fino a quella sera di agosto, in cui un ragazzo dispettoso e maligno, provocò Carlo scommettendo che non sarebbe stato capace di far innamorare di sé Serena, l’unica ragazza che non gli girava intorno. Carlo era indifferente nei confronti di Serena, ma non sapeva resistere alle scommesse: doveva vincerle sempre, a tutti i costi. Così improvvisò una serenata e con un grande mazzo di fiori andò a bussare alla porta di casa di Serena, per invitarla al grande ballo di fine estate. Serena accettò l’omaggio senza rispondere. Carlo, però fu insistente e per tutti i giorni precedenti alla festa, la circondò di attenzioni, regali, improvvisate. Confusa da così tante manifestazioni di interesse, che io purtroppo non le avevo mai dedicato, alla fine dell’estate acconsentì all’invito e al termine della serata cadde tra le braccia di Carlo. Quando ritornai l’estate successiva i due facevano ormai coppia fissa e per me non c’era più speranza. Ero rimasto veramente solo! Fortunatamente mi ero appena laureato: al rientro in città fui assunto in banca e il lavoro assorbì le mie energie aiutandomi a dimenticare. Dopo poco la nonna mancò. La casa in campagna fu venduta e non ci fu più occasione di tornare in campagna. Dopo qualche tempo, ricevetti un invito: era quello per il matrimonio di Carlo e Serena. Decisi di andarci credendo che, ormai per me, la storia fosse acqua passata. Purtroppo, non lo era e appena possibile rientrai in città e dimenticai tutto. Poi incontrai quella che presto divenne mia moglie. Anni dopo, seppi da amici comuni che Carlo aveva accettato un lavoro per una grossa azienda straniera e con Serena era partito per l’estero. Ogni tanto, ricevevo cartoline dai luoghi più incredibili e lontani della terra. Carlo era rimasto legato a me, preso dal suo egocentrismo, non si era mai accorto del torto fattomi.

Nel frattempo, il taxi era arrivato alla stazione.
Salite le scale mobili Alberto si diresse verso il bar. Aprì la porta e non ebbe nessuna esitazione nel riconoscere, nell’uomo elegante e abbronzato, seduto a un tavolino, l’amico di un tempo.
Carlo alzò lo sguardo, lo riconobbe a sua volta e gli andò incontro a braccia aperte.

-Che gioia, sapessi quanto e da quanto tempo, ho desiderato questo incontro.
-La tua telefonata mi ha sorpreso, ma anch’io sono felice di rivederti. Sei
 proprio in gran forma. Non come me, ingrigito dalla monotona vita sedentaria
 del bancario!
-Non essere modesto so che hai fatto una brillante carriera in banca e
 nonostante qualche chilo di troppo, ti vedo proprio bene. Dimmi di te e della
 tua famiglia.
-Stanno tutti bene, i figli sono grandi , hanno la loro vita indipendente ed io e
 Marisa da quando loro sono usciti di casa non ci vediamo spesso: ci
 siamo separati. Entrambi avevamo dedicato più tempo al lavoro che alla
 nostra relazione e ormai eravamo divenuti due estranei. Ognuno di noi ha le
 sue colpe. Ogni tanto usciamo a cena per discutere i problemi comuni legati ai
 ragazzi, poi per il resto ognuno ha la sua vita.
-Che bella cosa i figli, sei stato fortunato. Serena ed io non siamo riusciti ad
 averne e questo è sempre stata un’ombra che ha oscurato la nostra vita. Per
 il resto abbiamo viaggiato molto, come desideravamo, anche se siamo
contenti di ritornare, poi l’estate nella tranquilla nostra campagna. Il mese prossimo ci trasferiamo lì, dovresti venire a trovarci, appena ti è possibile, il posto per te è sempre pronto.
-Grazie, dammi il tuo numero di telefono, così posso fartelo sapere. Ma ho capito bene vi trasferite lì?
-Si, ormai sono riuscito a organizzare i miei impegni lavorativi in modo  che mi richiedano  pochi spostamenti e con internet tutto è più vicino.
-E ora a Parigi?
-E’ un viaggio di semi piacere. Ho degli appuntamenti di lavoro e poi venerdì sera prossimo, quando ho terminato, Serena mi raggiungerà per due settimane. E’ la città che adora di più al mondo. E a te piace?
-Non ci crederai, ma non ci sono mai stato.
-No! Davvero, ma allora devi venire anche tu, insieme a Serena. Prenderà il treno della sera, esattamente da questa stazione. Potreste viaggiare insieme e ricordare i bei tempi trascorsi, per riempire il vuoto di questi anni. Serena non ti ha mai dimenticato.
-Ma cosa dici? Voi avete la vostra bella vita a due e non voglio, certo, rovinare una vacanza romantica.
-No, dico sul serio. Capita di parlare delle estati trascorse insieme e quando nomino il tuo nome a Serena brillano gli occhi. Non ti ha mai dimenticato, perché tu e non io sei stato il suo primo grande amore. Poi io, da stupido e insensibile te l’ho portata via, ma a quasi ogni cosa c’è rimedio e per tutto esiste un proprio tempo: ora è il tuo.
-Non capisco cosa vuoi dire?
-Serena non può vivere da sola quando io non ci sono.
-Ma tu ci sei sempre per lei e da come mi racconti sei riuscito a ben equilibrare il tempo per il lavoro, con il tempo per la famiglia. Non credo tu debba rimproverarti qualcosa.
-No, non hai capito. Non mi rimproverò niente, ma sono io che non avrò più tempo per stare con lei.
-Ma come, ma se ora vi trasferite in campagna e tu coordinerai tutto da lì, avrete modo di stare più insieme e vivere sereni.
-Certo io starò sempre insieme a lei.
- E allora cos’è tutto questo discorso del tempo?
-Io non ho più tempo, perché so di essere al termine del mio mio tempo: una grave malattia sta per porre fine ai miei giorni. Voglio,però che da quel momento in poi sia tu a donare il tuo tempo a Serena, perché lei ne avrà bisogno e tu sei l’unico che può e che lei vuole  accanto. Parigi sarà un bel modo per salutarci e riprendere il nostro cammino insieme ognuno a proprio modo. Lo sai che amo vincere tutte le scommesse. Conto su di te.

1 commento:

  1. Un punto di attenzione per quanto riguarda l'editing: se non vai a capo separando ogni tanto i paragrafi la lettura è molto difficile e c'è qualche virgola fuori posto.
    Trovo buona l'idea ma asciugherei molto tutta la parte descrittiva dando una maggiore caratterizzazione alla figura dell'amico che si rivela diverso dall'uomo egocentrico che hai tratteggiato prima. Inoltre non mi convice pienamente l'idea che Serena incontrando Alberto (grigio, invecchiato) sia d'accordo con i progetti fatti dal marito morente.

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