Siedo sul mio divano e sui miei piedi - tenendoli al caldo.
Siedo così e leggo un libro mentre accanto a me c’è Topino:
il gatto.
Strano nome per un gatto ma quando lo abbiamo trovato,
decidendo di adottarlo, era piccolo, sporco e pulcioso. Tutto coda e orecchie,
orecchie da topo appunto. Adesso è un bel gatto ma siamo affezionati a quel
nome tanto quanto lo siamo a lui.
Cerco di proseguire nella lettura del romanzo, ma Topino
cerca coccole e, come tutti i gatti, sa come ottenerle. Comincia a danzarmi intorno,
si struscia, fa le fusa e, come sempre, mi convince.
Mentre il gatto si rilassa, abbandono il libro e mi abbandono
al gioco dei ricordi, tornando, non so bene perché, ai miei diciotto anni.
I diciotto anni e la promessa che si portano con sé.
La promessa di un cambiamento improvviso, ma che che spesso
non arriva, quella che: “Adesso siamo grandi e facciamo come ci pare”.
I miei diciott’anni hanno matenuto la promessa e la mia vita
è cambiata.
Sono salita su un treno e ho passato la stazione di Castel Franco, quella
di Mestre e poi Padova e Vicenza. Da quei finestrini ho visto scorrere tutta la
pianura padana con la sua campagna e le sue colline e, sotto il sole caldo di
agosto, ho superato Verona, Desenzano, Brescia e, dopo essermi lasciata alle
spalle anche Bergamo, sono finalmente arrivata.
Anche quello della mia mano è un viaggio: inizia tra le sue orecchie, con il mio palmo
che le schiaccia dolcemente e i suoi occhi si chiudono, e il suo muso si alza
mostrando un nasino rosa e delicato.
Mi sarei potuta perdere in mezzo a tutta quella folla: gente che partiva, gente che arrivava e che
aspettava o salutava. Ma, tra tutti quei volti ne avevo riconosciuto uno:
quello di Laura.
Ci eravamo conosciute a una festa tempo prima e mi aveva
invitata a passare l’agosto da lei,
nella sua Milano calda e vuota.
Con la famiglia, viveva nell’appartamento soprastante al
Ristorante-Pizzeria di loro proprietà: L’ “Osteria del Casello” dove il casello
era quello ferroviario dei binari
che affiancavano il locale.
Clienti di ogni tipo per ogni tipo di serata.
I venerdì erano dedicati alla grecia: greco il menù, greca la
musica e greci i clienti. Dopo aver vuotato i piatti e riempito le pancie di Tzatziki, Moussaka e Souvlaki bevendo Ritsina
dorato, gli avventori si lasciavano ammaliare dalla melodia del Sirtaki e,
sulle note del polpolare ballo ellenico, iniziavano le danze.
I più giovani, i più
spudorati o semplicemente i più sbronzi salivano sui tavoli lasciandosi
trascinare dal ritmo sensuale, altri ballavano in cerchio tenendosi per mano e non mancava chi, rispettando una
vecchia tradizione, gettava i piatti in mezzo ai ballerini e schegge di
ceramica bianca si sparpagliavano tutt’intorno.
I clienti del sabato si gustavano pizza, birra, musica dal vivo o spettacoli di cabaret.
Io non mi perdevo nulla e mi godevo ogni momento di quella dimensione così diversa
da quella della provincia. Il Friuli era diverso, la gente era diversa.
Quello friulano è un popolo campanilista, chiuso nei suoi confini
e chiuso nel carattere. Brava gente, grandi lavoratori ma poco avvezzi allo
svago e al divertimento.
Ma io sono una “Mezzo
Sangue”: ho la dura concretezza di una mamma friulana, ma anche la
morbida curiosità di un papà istriano e tornare a casa dopo la vacanza Milanese
fu uno shock!
Difficile ricominciare a mangiare scondito dopo aver
assaggiato il sale, così ho preparato una valigia più grossa e ho fatto un
biglietto per la City.
Un biglietto di sola andata questa volta.
Ho accettato il lavoro da cameriera nel locale di Laura, ho
preso in subbaffitto un piccolo appartamento ed’è iniziata la mia indipendenza.
Sul dorso la pelliccia è più folta e, come in un mare che si
fa via via più profondo, le dita
affondano e scompaiono, ma è solo un attimo!
Eccole riapparire in prossimità di una coda che si agita dispiaciuta
per la fine di quella corsa che, come su un circuito riprende dal punto di partenza con ritmo lento su una strada soffice.
Ma se potessi tornare indietro?
Accetterei ancora il consiglio di Luciano?
La rifarei ancora la scuola di informatica?
La sera apparecchiavo e sparecchiavo tavoli - sempre gli
stessi – e al mattino seguivo le lezioni. Faticoso si, ma ho finito il corso un
venerdì di Aprile e il lunedì successivo avevo archiviato la divisa da
cameriera e indossato un abitino carino per il mio primo giorno di lavoro o
seduta a una moderna scrivania .
Casa, lavoro e l’amore?
Quello l’ho trovato nascosto nascosto dietro una porta.
Ero l’unica ragazza in un ufficio di soli uomini, tutti trentenni,
tutti sposati, tutti con figli, tutti tranne uno. Tutti molto loquaci, tutti
giocosamente arrapati, tutti tranne uno. Seduto alla sua scrivania, nascosta
dietro la porta, c’era il “Tranne Uno”.
Frequentavamo colleghi diversi, non ci occupavamo dello
stesso lavoro. Tra noi nessun contatto. A malapena ricordavo il suo nome: Riccardo.
“ La mia donna” mi chiamava sempre il mio capo e allora, per
gioco, mi sono fidanzata con l’unico scapolo dell’ufficio. Riccardo è stato al
gioco e…
<<Drin! Drin!>> suona il campanello. Topino corre
via e il mio gioco dei ricordi si interrompe.
Corro ad aprire la porta. Elena e Gaia, le mie due figlie che oggi hanno
16 e 18 anni, entrano, salutano e buttano gli zaini in un punto a caso del
pavimento. Dietro le ragazze spunta mio
marito “Ciao Amore” mi saluta mollando 24 ore e giacca in un punto a caso del divano. “Ciao Riccardo” gli rispondo mentre distendo
le labbra in un sorriso e le gambe sul divano.
Mi ricordo che non ho concluso il gioco e mi chiedo ancora: ma se potessi tornare
indietro?
Che cosa cambierei?
E mi accorgo che le risposte sono appena entrate da quella
porta.
Molto bello questo parallelo tra il viaggio della tua vita e il viaggio della mano sul corpo del tuo fortunatissimo gatto. Le descrizioni, come sempre sai fare tu, sono molto significative. Che dire ancora? Mi è piaciuto molto.
RispondiEliminaBrava Anna, questo racconto mi è molto piaciuto. Hai chiarito un 'passaggio" che non conoscevo. Complimenti. Grazie. x
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