Accarezzò con tenerezza quelle mani ora scarne, raggrinzite
e immobili che tante volte aveva visto lavorare
tenacemente; la pelle sottile, quasi trasparente. Un reticolo di vene si
diramava lungo i polsi.
Un breve sussulto distolse la sua attenzione e la concentrò
là, dove proveniva un flebile lamento.
Si rese conto di non aver mai visto la
madre in quello stato.
Si ricordò improvvisamente della voce che lo invitava,
quand’era piccolo, con amorevole premura, a lasciarsi prendere per fare il
bagnetto e i numerosi espedienti da lei ricercati per renderlo meno traumatico:
dai giochi con le bolle e pupazzetti di plastica,
passava alle carezze avvolgendolo in un bozzolo di tenerezza.
Si sforzava di non pensare a quegli occhi annebbiati,
confusi, inconsapevoli, mentre cercava di reagire al groppo che gli bloccava
gola.
“Forse non sono stato abbastanza presente ultimamente”-
diceva fra sé, “ ho sottovalutato la situazione”.
Sentì di aver tradito le aspettative della madre che lo
avrebbe voluto accanto a sé più spesso, magari solo per vederlo, per parlargli,
anche se non era più in grado di seguire una conversazione.
Nella sua mente i ricordi affiorarono
prepotentemente: da bambino voleva sentire raccontare dalla mamma la stessa
favola, sera dopo sera, fino a che si riaddormentava; da adulto, quando lei
ripeteva la stessa cosa una decina di volte, invece la interrompeva irritato e
non l’ascoltava. Capì di non aver saputo essere paziente come lei quando aveva
trascorso ore ed ore ad insegnargli le cose fondamentali per la sua vita
presente e futura.
Gli venne, in quel momento, l’idea di recitare una
preghiera: con la voce spezzata dall’emozione intonò l’Ave Maria, ma non riuscì
a terminarla per il dolore che lo rendeva impotente.
Uscì dalla stanza e la sua mente fu bersagliata dalle frasi
che lei ripeteva nei pochi momenti di lucidità: “A
una certa età non si vive più veramente; semplicemente si sopravvive”, “Non
devi sentirti triste, sfortunato o incompetente di fronte alla mia vecchiaia e
al mio stato, devi solo starmi vicino, provare a capirmi, fare del tuo meglio”.
No, forse non aveva fatto del suo meglio, aveva solamente
cercato di tamponare una situazione scomoda, ma ora voleva solo cercare di riguadagnare
il tempo perduto.
Uscì dalla stanza e chiamò l’ufficio avvertendo che l’indomani non sarebbe potuto andare al lavoro e
predispose tutto in modo da non essere disturbato se non per cose impossibili
da risolvere autonomamente.
Mentre era nel corridoio, riuscì a parlare con il medico della
situazione della madre: era più grave del previsto, non se lo aspettava… Purtroppo
si trattava ormai di fare in modo che soffrisse il meno possibile e si avviasse
dignitosamente alla fine. Aveva capito che per farlo occorreva somministrarle
dei sedativi che l’avrebbero allontanata per sempre da lui. Non voleva, desiderava
parlarle, dirle quanto l’aveva amata e quanto l’amava e soprattutto voleva che
lei lo capisse e gli rispondesse.
Puro egoismo per sgravarsi la coscienza dai sensi di colpa,
questo non lo meritava sua madre e allora, in ritardo, molto in ritardo, tornò
nella stanza, mise le sue mani sopra quelle della madre e le raccolse tra le
sue in un gesto di preghiera. Al medico aveva dato tutti i consensi
possibili, lui sarebbe rimasto lì, vicino a lei,
fino alla fine, anche se lei non l’avrebbe mai
saputo.
Nonostante i sensi di colpa,
avvertì che sua madre avrebbe potuto capire il suo disagio e il suo dispiacere,
come aveva sempre fatto, e l’avrebbe perdonato.
Riprese la preghiera e questa volta riuscì a terminarla.
Un tema difficile e intimo con il quale hai trasmesso emozioni e commozione. Un "tradimento" che offre spunti di riflessione profonde e personali.
RispondiEliminaE' un tradimento difficile questo; anche da scrivere, ma ci si riuscita ed'è arrivato proprio lì dove doveva arrivare.
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