Appena
superato il cartello che annunciava l'ingresso a Threesix's ville,
dal tubo di scappamento della moto si era sprigionato un fumo nero e
denso. Il motore si era spento e la lancetta del contagiri si era
spostata, rapidamente, da trecento a zero.
I
successivi tentativi di accensione avevano provocato solo piccoli
borbottii del motore quindi ero sceso, l'avevo issata sul cavalletto
e ci avevo girato intorno guardandola con molta attenzione, ma
inutilmente.
Poi,
con uno sguardo completamente diverso da quello avuto durante il
viaggio, mi ero concentrato su ciò che mi circondava.
La
foresta che avevo finito col considerare la mia compagna di viaggio,
all'improvviso, era più inquietante che misteriosa, e la sensazione
di piacevole infinito della strada si era spenta.
Threesix'
ville. Quel nome non mi diceva nulla. Sulla cartina stradale,
comprata per programmare il viaggio, non ricordavo di averlo notato.
Non
mi restava che aspettare, sul ciglio della strada, che da un punto
qualsiasi arrivasse qualcuno, ma dopo un'ora di attesa,
all'orizzonte, vedevo unicamente asfalto e abeti altissimi.
Mi
ero deciso, allora, a incamminarmi, ma prima dovevo nascondere la
moto tra gli alberi; sarei tornato a prenderla più tardi con il
carro-attrezzi.
Dopo
pochi passi nella vegetazione, l'oscurità mi aveva inghiottito: ero
passato, in un solo battere di ciglia, dalla luce accecante del sole
del mattino a un buio totale e innaturale e, non potendo vedere, mi
ero messo all'ascolto. Percepivo però un unico suono: il battito di
un cuore che non era il mio.
Avevo
lasciato cadere la moto e mi ero messo a correre alla cieca tra i
rami invisibili che mi graffiavano le
braccia e il viso, ma ero inciampato subito su qualcosa di duro e
metallico. Tastando con le mani mi ero accorto che si trattava della
mia moto ed ero svenuto. Il freddo della notte era stato lo schiaffo
che mi aveva svegliato, le mie dita avevano intercettato il pulsante
di accensione e, in quello che sembrava solo un tentativo disperato,
l'avevano premuto. Il rombo del motore era esploso nel silenzio, il
cono luminoso del fanale aveva squartato il buio indicandomi la via
d'uscita e, salito in sella, ero scappato. Alle mie spalle, per
molto tempo, ho sentito uno sguardo seguirmi.
Una volta a casa ho
cercato Threesix's ville sulla piantina, ma già sapevo che non
l'avrei trovata.
Una bella atmosfera alla Stephen King e la paura è assicurata, o meglio l'inquietudine che ti assale quando non sai più se sei nella realtà, nel sogno o nello spazio tempo di mezzo. Qui il gioco è riuscito perché il lettore non vede l'ora di scappare insieme al protagonista da quel luogo!
RispondiEliminaUna molteplicità di elementi sensoriali e non solo, concorrono a delineare quest'ambiente da incubo, da paura. Effetto riuscito! Brava!
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