mercoledì 8 aprile 2015

Threesix's ville

Appena superato il cartello che annunciava l'ingresso a Threesix's ville, dal tubo di scappamento della moto si era sprigionato un fumo nero e denso. Il motore si era spento e la lancetta del contagiri si era spostata, rapidamente, da trecento a zero.
I successivi tentativi di accensione avevano provocato solo piccoli borbottii del motore quindi ero sceso, l'avevo issata sul cavalletto e ci avevo girato intorno guardandola con molta attenzione, ma inutilmente.
Poi, con uno sguardo completamente diverso da quello avuto durante il viaggio, mi ero concentrato su ciò che mi circondava.
La foresta che avevo finito col considerare la mia compagna di viaggio, all'improvviso, era più inquietante che misteriosa, e la sensazione di piacevole infinito della strada si era spenta.
Threesix' ville. Quel nome non mi diceva nulla. Sulla cartina stradale, comprata per programmare il viaggio, non ricordavo di averlo notato.
Non mi restava che aspettare, sul ciglio della strada, che da un punto qualsiasi arrivasse qualcuno, ma dopo un'ora di attesa, all'orizzonte, vedevo unicamente asfalto e abeti altissimi.
Mi ero deciso, allora, a incamminarmi, ma prima dovevo nascondere la moto tra gli alberi; sarei tornato a prenderla più tardi con il carro-attrezzi.
Dopo pochi passi nella vegetazione, l'oscurità mi aveva inghiottito: ero passato, in un solo battere di ciglia, dalla luce accecante del sole del mattino a un buio totale e innaturale e, non potendo vedere, mi ero messo all'ascolto. Percepivo però un unico suono: il battito di un cuore che non era il mio.

Avevo lasciato cadere la moto e mi ero messo a correre alla cieca tra i rami invisibili che mi graffiavano le braccia e il viso, ma ero inciampato subito su qualcosa di duro e metallico. Tastando con le mani mi ero accorto che si trattava della mia moto ed ero svenuto. Il freddo della notte era stato lo schiaffo che mi aveva svegliato, le mie dita avevano intercettato il pulsante di accensione e, in quello che sembrava solo un tentativo disperato, l'avevano premuto. Il rombo del motore era esploso nel silenzio, il cono luminoso del fanale aveva squartato il buio indicandomi la via d'uscita e, salito in sella, ero scappato. Alle mie spalle, per molto tempo, ho sentito uno sguardo seguirmi. 
Una volta a casa ho cercato Threesix's ville sulla piantina, ma già sapevo che non l'avrei trovata. 

2 commenti:

  1. Una bella atmosfera alla Stephen King e la paura è assicurata, o meglio l'inquietudine che ti assale quando non sai più se sei nella realtà, nel sogno o nello spazio tempo di mezzo. Qui il gioco è riuscito perché il lettore non vede l'ora di scappare insieme al protagonista da quel luogo!

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  2. Una molteplicità di elementi sensoriali e non solo, concorrono a delineare quest'ambiente da incubo, da paura. Effetto riuscito! Brava!

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