lunedì 26 ottobre 2015

Una fetta della mia vita

Mi bastavano acqua bollente, sale, pentola di rame, fuoco vivo e mani che mi facevano cadere lentamente, “a pioggia”. Allora scivolavo: ero proprio contenta di trovarmi in quel luogo così caldo e accogliente.
Mi scioglievo da fastidiosi grumi quando la mia creatrice impugnava la frusta ed effettuava movimenti circolari: inizialmente lenti e man mano più veloci e decisi, che mi facevano sentire viva.
Poi mi riposavo, rimanevo un po’ tranquilla nel mio tepore fino a quando la mano amica cambiava strumento. Passava dalla frusta al mestolo di legno, a cui mi piaceva attaccarmi, sentirmi un corpo unico.
Allora mi sentivo tutto un brivido dentro, tutta accaldata, fino a quando qualcuno riprendeva in mano la situazione e dolcemente mi girava, staccandomi da quella che poteva diventare una relazione troppo appiccicosa, impedendomi di rimanere avvinghiata al fondo.
Poi mi rilassavo; mi sentivo bene: coccole, ancora con il medesimo attrezzo, intervallate da lunghi riposi, il tutto per un’ora o poco più.
A un certo punto venivo completamente rovesciata da mani sapienti ricoperte da guanti, non avvertivo più il calore che mi procurava il contatto col rame, ma sentivo solo il contatto con il legno.
No, non il legno della croce, semplicemente era una piccola tavolozza in cui io, ormai ben soda, mi acquietavo e mi rassegnavo: sapevo che Margherita ed Andrea avrebbero fatto festa vedendomi, ma ero conscia  di rendere ancor più felici gli adulti, che sapevano accompagnarmi a salumi, formaggi e carni prelibate.
Un giorno successe una cosa inaudita: la mia proprietaria, stanca di coccolarmi per tutto quel tempo, mi mise coppia con uno strano “coso”, che non avevo mai visto in vita mia.
Si trattava di un piccolo utensile dotato di un motore elettrico, che, inserito ai bordi del paiolo e muovendo delle pale, avrebbe ridotto i tempi della mia cottura. Che storia! Lui mi girava, mi rigirava, ma non era come prima: non mi piaceva affatto, perché il ritmo era sempre lo stesso, non c’era il calore delle mani, era un'azione meccanica, fatta senza amore, una routine.
Fu così che mi arresi e mi passò la voglia di essere piacente e tutto ciò che era legato ad esso.
Dalle facce dei commensali compresi che non ero più molto gradita nemmeno a loro e finii col deprimermi.
Capitò che una sera d’autunno in cui era stato deciso di servirsi di me, un temporale molto forte imperversò sopra la casa. Ci fu un black-out prolungato (si dovettero addirittura accendere le luci di emergenza) tale da indurre la padrona di casa a riconsiderare le modalità sul mio utilizzo.
Detto fatto, riprese a guardarmi con occhi diversi, con nostalgia e affetto. Quanto mi era mancato quello sguardo e quanto avevo sentito la mancanza di quelle sue mani che ora mi stringevano, mi accarezzavano dolcemente e che sembravano dirmi:<<Sono tornata. Scusa, ho capito che solo così sei la mia creatura, non ti lascerò più!>>. E ancora:<<Ma come ho fatto ad abbandonarti con quel bellimbusto?>>.

Quindi, con un movimento rapido e improvviso delle mani, allontanò da me e successivamente dalla sua cucina quell’intruso che tanto mi aveva fatto soffrire, destinandolo a un mercatino di beneficienza.

1 commento:

  1. Il punto di vista della polenta con le sue preferenze in fatto di manipolazione è molto accattivante. Il racconto scorre allegramente attrattivo.

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