lunedì 25 gennaio 2016

Solitudine

In uno stato che non era più sonno ma non era ancora veglia cercava di tornare all’interno del sogno, ma tutto le sfuggiva, i ricordi si allontanavano fino a lasciarle solo immagini sbiadite e confuse. Era bastato aprire gli occhi per un solo momento, il tempo di un breve battito di ciglia e tutto era stato dimenticato.
Si era girata a pancia sotto e dopo pochi minuti sul fianco destro, poi su quello sinistro e alla fine si era ritrovata supina come al punto di partenza finché insofferente al caldo e a quella strana accelerazione del cuore che la infastidiva, ma che non la preoccupava perché la attribuiva a un normare riattivarsi del metabolismo, si era decisa ad aprire gli occhi.
Le tapparelle erano completamente abbassate, ma la luce si era trovata lo stesso un varco, era poca ma riusciva a dare ai mobili e agli oggetti presenti nella camera un’identità e un’ombra.      
Giovanna era contenta di non essersi svegliata in un buio totale, aveva sempre avuto paura del buio. Lo trovava di una densità minacciosa che le impediva di capire dove fosse e con chi fosse. E in quel buio non osava aprire gli occhi perché, a farle ancora più paura, era l’arrivo di un lampo di luce improvviso, era scoprire che gli orrori non erano frutto della sua immaginazione ma erano reali.
Però… che strano silenzio c’era, Enzo non era al suo fianco e, uscita dalla stanza, il cane non le era venuto in contro. Ogni mattino, appena apriva la porta della camera lui era lì, tutto un fremito, scodinzolante e mugolante come se non la vedesse da giorni e dovesse recuperare il loro tempo perduto. Ma il cane non c’era, Enzo non era neppure in soggiorno e i letti di Elena e Silvia erano vuoti.
Una strana inquietudine l’aveva pervasa: un formicolio sinistro le era esploso nello stomaco e si era espanso in tutto il corpo rendendo deboli gli arti e confusa la mente. Si era seduta sul divano per cercare di dare un senso a quelle mancanze, a quel silenzio, a quella solitudine.
La solitudine…                                                                  
Quante volte, negli ultimi anni l’aveva desiderata? Quante volte si era chiusa in una stanza cercando di isolarsi, di allontanarsi da tutto e da tutti, di dimenticarsi dei figli, del marito, di tutti gli impegni e restare sola anche nei suoi pensieri, ma non c’era mai riuscita. Nemmeno per pochi minuti.      
       
Anche la sera scorsa ci aveva provato, era tornata stanca: era la vigilia di Ferragosto, in negozio non erano entrati che pochi clienti così ne avevano approfittato per fare pulizia. Avevano svuotato tutti gli scaffali, li avevano spolverati e lavati con uno sgrassante per vetri che le aveva riempito le narici e la gola di un odore acre e pungente. Dopo tutto quel salire e scendere dagli sgabelli, quel pulire e spolverare non vedeva l’ora di tornare a casa, di togliersi quei vestiti pregni di odori che non sentiva per assuefazione, ma che era certa avessero riempito tutte le fibre della stoffa e dei suoi capelli e fossero entrati in ogni suo poro. Doveva andare a casa, fare una doccia e riposare.
Ma quando era finalmente arrivata, vi aveva trovato il solito caos ed era sbottata, aveva gridato qualcosa, era salita al piano di sopra, si era levata di dosso i vestiti puzzolenti e lavata strofinandosi con più vigore del solito, ma non era stato sufficiente a cancellare la tensione così aveva versato dieci, forse 15, gocce di Xanax in mezzo bicchiere d’acqua e li aveva buttati giù tutti d’un fiato. Si era gettata sul letto e nel giro di pochi minuti si era addormentata.

E adesso era lì da sola, angosciata per quella solitudine e per il senso di colpa. In un momento di disperazione aveva anche pensato che il desiderio, urlato la sera prima, si fosse avverato e tutti erano spariti. Poi si era detta che stava dando i numeri, che queste cose accadono solo nelle favole o nei film e lei era una donna moderna, realista, concreta e non poteva credere a queste maledizioni.

Ma certo! Che stupida era stata a non pensarci prima: bastava fargli una telefonata e tutto si sarebbe chiarito. Aveva acceso il suo telefonino – lo teneva sempre spento la notte – e aveva composto il numero di Enzo. Suonava libero, ma oltre a quello che arrivava da l'interno dell’apparecchio aveva sentito anche un’altra musichetta: quella inconfondibile della suoneria di Enzo. Il suo telefono era in cucina dimenticato sotto carica, ma dov’era Enzo, dov’erano le bambine, dov’era il cane, ma dov’erano finiti tutti?  
                                                                                                                                               Frustrazione, preoccupazione, paura, era tutto un rincorrersi di emozioni, ma fu con rabbia che stacco il telefono dal cavo di alimentazione voleva sbatterlo per terra, romperlo e vederlo andare in mille pezzi.  Qualcosa però l’aveva distratta: un foglio di carta azzurra che liberato dal peso del cellulare che lo teneva ancorato al piano della cucina era scivolato e,ondeggiando un po’, caduto sul pavimento.
E nel leggerlo aveva ondeggiato anche Giovanna, aveva pianto e scoperto che l’unica solitudine accettabile è quella che si trascina la promessa di finire presto. 


Siamo andati al parco e torniamo questa sera con le pizze. Cerca di riposare. Enzo, Silvia, Elena e Paco TVB

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