domenica 29 maggio 2016

REAZIONI

La rosa stava già appassendo. L’acqua del piccolo vaso non bastava più a darle vigore.
I petali rossi caduti sulla tovaglia rovinavano l’eleganza rispettosa del galateo. Sulla tavola, tutto era stato posizionato in modo speculare e solo un leggero e voluto sfasamento delle forchette tradiva una simmetria altrimenti perfetta.
La bottiglia di champagne galleggiava nell’acqua del cestello e i pensieri di Giulia annaspavano in un mare di frustrazione.
Forse adesso era lo squillo del telefono quello da aspettare, ma non sapeva se lo avrebbe accolto con rabbia o con timore.
Appoggiò la fronte al vetro freddo della finestra sperando di trovare, in quel freddo, un po’ di sollievo e invece vi trovò i suoi stessi occhi a fissarla con tristezza. Sentì il battito lontano delle campane scandire la mezzanotte e smise di aspettare.
Abbassò completamente le tapparelle e un buio simile a quello che le era calato nel cuore la avvolse. Occupò solo un piccolo spazio del grande letto matrimoniale quando si rannicchiò tenendosi le gambe strette contro il petto. 
L’oscurità permise a una nuova paura di insinuarsi tra i suoi pensieri obbligando delusione e dolore a cedergli il posto. Restò immobile con i sensi in allerta. Si concentrò sui suoni, con l'udito acuito e pronto a captare piccoli fruscii o respiri sconosciuti.  
Si addormentò immaginando presenze misteriose e minacciose.

Il movimento, partito dalla caviglia, saliva lasciando una calda scia di piacere, d’istinto, le gambe, ancora raccolte, si distesero per agevolare l’avanzare di quella carezza.
Sentiva i baci leggeri sul collo, sul volto e sulle labbra a coprire il sorriso malizioso nato nel sonno. Lo stato di torpore che anticipa il risveglio amplificava, inaspettatamente, le sue sensazioni.
Giulia fluttuava su onde d’ estasi e ne seguiva il ritmo.
Onde sempre più alte che le fecero raggiungere l’apice del piacere. Poi, si calmarono e, in un dondolio leggero, la riportarono al sonno.
Fu svegliata da uno spiraglio luminoso e dall’aroma forte del caffè che filtravano dalla porta chiusa. Allungò il braccio e posò la mano sul cuscino di Luca già freddo per sua assenza.
Quando aprì gli occhi non fu il bagliore della luce a ferirla, ma i ricordi: arrivarono tutti insieme e la colpirono come uno schiaffo. Adesso, era arrabbiata anche con sé stessa, il suo corpo l’aveva tradita lasciandosi coinvolgere nel gioco della carne, complice dell’uomo che in quel momento sentiva di odiare.

 Adorava le margherite, ma quelle che avevano sostituito la rosa della notte scorsa le provocarono un senso di fastidio. Correre dal fioraio sotto casa era stata probabilmente la prima cosa che aveva fatto appena sveglio. I piatti, i calici, lo champagne, perfino la tovaglia non c’era più.  Un leggero filo di fumo usciva dal becco della caffettiera e le fette biscottate erano già state imburrate e spalmate di marmellata d’arance. Lui sedeva dove avrebbe voluto vederlo ore prima. Le sue labbra abbozzavano un sorriso imbarazzato, ma i suoi occhi erano seri, consapevoli di una colpa difficile da perdonare. Le andò incontro, tentò di prenderle la mano, ma Giulia fuggì da quel contatto come da un pericolo.
Seduta, con lo schienale alle spalle e il tavolo davanti a separare il suo corpo da quello di lui, si versò il caffè. Fecero colazione in un silenzio rotto solo dallo scricchiolio di fette croccanti tra i denti.

La notte scorsa era rincasato tardi, troppo tardi: l’ennesimo ritardo. Ad attenderlo c’erano solo silenzio, oscurità e il profumo delle crespelle, ormai secche e immangiabili abbandonate nel forno.  Senza accendere nessuna luce era andato in camera, si era spogliato abbandonando a terra i vestiti.
Guidato dal respiro regolare di Giulia, le si era sdraiato accanto avvolgendola con il suo corpo, inglobandola quasi. L’aveva sentita abbandonarsi e vibrare della stessa sua passione. Come in un valzer, si era lasciata guidare e lui si era illuso che il ballo sarebbe bastato ad attenuare la sua colpa.
Ma al mattino, algida e impassibile, Giulia si era chiusa nella sua torre: protetta e prigioniera al tempo stesso. Combattuta tra il desiderio di essere salvata e la paura di precipitare. Non era la prima volta che se ne andava lasciandogli solo un corpo vuoto. Luca, la guardava cercando nel suo sguardo assente e lontano un segnale, una piccola crepa in cui aprirsi un varco, passare e raggiungerla. Parlarle non sarebbe servito: era troppo lontana e non l’avrebbe sentito. 

Si era allora alzato, le si era messo alle spalle e l’aveva abbracciata, l’aveva sentita rigida e fredda come una statua di marmo. Aveva accostato la guancia alla sua e aveva aspettato. Al primo spasmo, arrivato dopo pochi minuti, ne era seguito un altro e un altro ancora. Intervalli sempre più brevi tra singhiozzi che come gocce di un improvviso e violento acquazzone le avevano formato rigagnoli sul viso. E sotto quella pioggia Giulia era tornata e sarebbe rimasta, forse, fino al prossimo ritardo, fino alla prossima delusione.

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