La rosa stava
già appassendo. L’acqua del piccolo vaso non bastava più a darle vigore.
I
petali rossi caduti sulla tovaglia rovinavano l’eleganza rispettosa del
galateo. Sulla tavola, tutto era stato posizionato in modo speculare e solo un
leggero e voluto sfasamento delle forchette tradiva una simmetria altrimenti
perfetta.
La
bottiglia di champagne galleggiava nell’acqua del cestello e i pensieri di
Giulia annaspavano in un mare di frustrazione.
Forse adesso
era lo squillo del telefono quello da aspettare, ma non sapeva se lo avrebbe
accolto con rabbia o con timore.
Appoggiò la
fronte al vetro freddo della finestra sperando di trovare, in quel freddo, un
po’ di sollievo e invece vi trovò i suoi stessi occhi a fissarla con tristezza.
Sentì il battito lontano delle campane scandire la mezzanotte e smise di
aspettare.
Abbassò completamente
le tapparelle e un buio simile a quello che le era calato nel cuore la avvolse.
Occupò solo un piccolo spazio del grande letto matrimoniale quando si rannicchiò tenendosi le
gambe strette contro il petto.
L’oscurità permise a una nuova paura di insinuarsi tra i suoi pensieri obbligando delusione e dolore a cedergli il posto. Restò immobile con i sensi in allerta. Si concentrò sui suoni, con l'udito acuito e pronto a captare piccoli fruscii o respiri sconosciuti.
Si addormentò immaginando presenze misteriose e minacciose.
L’oscurità permise a una nuova paura di insinuarsi tra i suoi pensieri obbligando delusione e dolore a cedergli il posto. Restò immobile con i sensi in allerta. Si concentrò sui suoni, con l'udito acuito e pronto a captare piccoli fruscii o respiri sconosciuti.
Si addormentò immaginando presenze misteriose e minacciose.
Il
movimento, partito dalla caviglia, saliva lasciando una calda scia di piacere,
d’istinto, le gambe, ancora raccolte, si distesero per agevolare l’avanzare di
quella carezza.
Sentiva i
baci leggeri sul collo, sul volto e sulle labbra a coprire il sorriso malizioso
nato nel sonno. Lo stato di torpore che anticipa il risveglio amplificava,
inaspettatamente, le sue sensazioni.
Giulia fluttuava
su onde d’ estasi e ne seguiva il ritmo.
Onde sempre
più alte che le fecero raggiungere l’apice del piacere. Poi, si calmarono e, in
un dondolio leggero, la riportarono al sonno.
Fu
svegliata da uno spiraglio luminoso e dall’aroma forte del caffè che filtravano
dalla porta chiusa. Allungò il braccio e posò la mano sul cuscino di Luca già
freddo per sua assenza.
Quando aprì
gli occhi non fu il bagliore della luce a ferirla, ma i ricordi: arrivarono
tutti insieme e la colpirono come uno schiaffo. Adesso, era arrabbiata anche
con sé stessa, il suo corpo l’aveva tradita lasciandosi coinvolgere nel gioco
della carne, complice dell’uomo che in quel momento sentiva di odiare.
Adorava le margherite, ma quelle che avevano
sostituito la rosa della notte scorsa le provocarono un senso di fastidio. Correre
dal fioraio sotto casa era stata probabilmente la prima cosa che aveva fatto
appena sveglio. I piatti, i calici, lo champagne, perfino la tovaglia non c’era
più. Un leggero filo di fumo usciva dal
becco della caffettiera e le fette biscottate erano già state imburrate e
spalmate di marmellata d’arance. Lui sedeva dove avrebbe voluto vederlo ore
prima. Le sue labbra abbozzavano un sorriso imbarazzato, ma i suoi occhi erano
seri, consapevoli di una colpa difficile da perdonare. Le andò incontro, tentò
di prenderle la mano, ma Giulia fuggì da quel contatto come da un pericolo.
Seduta,
con lo schienale alle spalle e il tavolo davanti a separare il suo corpo da
quello di lui, si versò il caffè. Fecero colazione in un silenzio rotto solo
dallo scricchiolio di fette croccanti tra i denti.
La
notte scorsa era rincasato tardi, troppo tardi: l’ennesimo ritardo. Ad
attenderlo c’erano solo silenzio, oscurità e il profumo delle crespelle, ormai
secche e immangiabili abbandonate nel forno. Senza accendere nessuna luce era andato in
camera, si era spogliato abbandonando a terra i vestiti.
Guidato
dal respiro regolare di Giulia, le si era sdraiato accanto avvolgendola con il
suo corpo, inglobandola quasi. L’aveva sentita abbandonarsi e vibrare della
stessa sua passione. Come in un valzer, si era lasciata guidare e lui si era
illuso che il ballo sarebbe bastato ad attenuare la sua colpa.
Ma
al mattino, algida e impassibile, Giulia si era chiusa nella sua torre:
protetta e prigioniera al tempo stesso. Combattuta tra il desiderio di essere
salvata e la paura di precipitare. Non era la prima volta che se ne andava
lasciandogli solo un corpo vuoto. Luca, la guardava cercando nel suo sguardo
assente e lontano un segnale, una piccola crepa in cui aprirsi un varco,
passare e raggiungerla. Parlarle non sarebbe servito: era troppo lontana e non
l’avrebbe sentito.
Si
era allora alzato, le si era messo alle spalle e l’aveva abbracciata, l’aveva
sentita rigida e fredda come una statua di marmo. Aveva accostato la guancia
alla sua e aveva aspettato. Al primo spasmo, arrivato dopo pochi minuti, ne era
seguito un altro e un altro ancora. Intervalli sempre più brevi tra singhiozzi
che come gocce di un improvviso e violento acquazzone le avevano formato
rigagnoli sul viso. E sotto quella pioggia Giulia era tornata e sarebbe
rimasta, forse, fino al prossimo ritardo, fino alla prossima delusione.
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